Ricordando Italo Svevo

Ieri è ricorso il 150° anniversario della nascita di Italo Svevo.  Uno scrittore praticamente nato quando è nata l’Italia. Uno degli autori più amati in questo paese. Uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento. Era nato dunque nell’anno in cui era nata anche l’Italia. Lo scrittore triestino, di origine ungherese,  era connotato da uno pseudonimo, scelto proprio in virtù di quella che considerava la sua anima: metà italiana, metà nordeuropea.

Il suo vero nome era infatti Aron Hector Schmitz. Basta scorrere la sua biografia (lingua triestina e tedesca, studi in Germania) per capire come ai nostri tempi verrebbe considerato un immigrato.  Eppure è uno dei maggiori orgogli nazionali. Perché amava questa nazione e perché i suoi sforzi di scrivere in un italiano corretto, aiutato da correttori del calibro di Silvio Benco, lo hanno fatto amare ai lettori. Nonostante un linguaggio decisamente atipico per i suoi tempi. Considerato strano ma contenente una particolare immediatezza.

La cosa più bella di Svevo, e lo confessa una persona non amante né del suo stile narrativo né dei suoi romanzi, è la capacità che ha avuto di fare della sua città di crescita un simbolo, lo spartiacque tra le diverse culture, l’anima di una narrazione che attraverso il suo stesso essere ha finito per acquisire una particolare importanza. Un sorta di terra di nessuno. Importante ed attraente proprio per questo motivo.

Perché lo scrittore è tanto amato? Perché nonostante un linguaggio talvolta pesante da interpretare è la storia stessa a vivere da sola tramite la connotazione che il suo ambiente è in grado di donargli. Italo Svevo nel suo particolare approcciarsi alle storie, nel riflettersi nei suoi personaggi come ne La Coscienza di Zeno, aggiunge a quel linguaggio un po’ scoordinato quella magia necessaria a fare della storia un opera d’arte.

Che può piacere o non piacere, ma che deve essere riconosciuta come tale. E che rende il suo autore, simbolo di una modernità antica.

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