Libri ostici: esistono davvero? Una prima risposta

Dovreste averci fatto caso sfogliano le mie recensioni: la sottoscritta ha un pessimo rapporto con i classici. In particolare, e Jane Eyre è un eccezione, nei confronti di quelli relativi al romanticismo inglese ed al realismo russo. Si tratta di una avversione non a pelle. Una lettrice vorace come la sottoscritta non si ferma nemmeno davanti a libri in lingua originale, siano essi in inglese o spagnolo. Eppure, quella del classico è una avversione radicata. Un esempio? Anna Karenina di Tolstoj. Dopo dieci pagine dormo. Di sasso. Sempre.

Eppure parliamo di un capolavoro inestimabile, una pietra miliare. Mi son sempre chiesta se ci fosse stato qualcosa di sbagliato nella mia testa. Poi ho pensato che il problema in realtà non risiede nella storia di per se stessa, emozionante e densa di avvenimenti al punto giusto, quanto nella maniera nella quale è scritta. E non è un discorso di stile. Ma di forma.

Sebbene diversi nuovi scrittori la sacrifichino all’altare delle idee, la forma è uno degli elementi più importanti all’interno di una composizione scritta. Lungi da me volere criticare Tolstoj, ma molto probabilmente il mio intelletto è maggiormente attirato da frasi breve e coincise, che sferzano nel loro essere. Non a caso la maggior parte degli autori che ho letto ed amo (Charlotte Bronte compresa) difficilmente si staccano da uno stile di scrittura paratattico a prescindere dalla loro epoca di appartenenza.

Altro esempio? Jane Austin anche se forse con lei non mi sono mai voluta impegnare più di tanto perché distante, nel modo che ha di esprimere la donna, da ciò che sono normalmente le mie idee. Stendhal, altro autore di classici della letteratura, non mi fa lo stesso effetto.  La forma, me ne rendo conto, per me è basilare in un libro. Prendiamo  Federico Moccia. Autore contemporaneo, frasi abbastanza paratattiche. Mi è completamente ostico. Per via di una forma poco curata, decisamente anche da parte del suo editor a mio parere.  Perfetto voler parlare di adolescenti, ma l’italiano dove lo mettiamo?

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