Leggere un libro: quanto influisce il linguaggio?

Scegliere un libro da leggere è tutt’altro che cosa facile. Appassionarci ad un autore, per quando bravo e talentuoso, segue la stessa linea. Le storie possono essere ben strutturate, affascinanti, talvolta al cardiopalma.

Ma cosa le rende tali? E cosa rappresenta la discriminante nelle nostre scelte? Il primo indiziato è sicuramente il linguaggio.

Va detto però, per onestà intellettuale che ovviamente si tratta di un fattore soggettivo. Ciò che può rivelarsi ostico per una persona non può essere considerato tale per un’altra.  E non è correlato direttamente alla “età” che un libro possiede od al periodo storico al quale lo stesso è legato.  Vi sono dei testi risalenti al 600 ed al 700 che nonostante il linguaggio aulico e la sintassi non prettamente moderna, risultano facili da leggere perché dotati di linguaggio schietto ed efficace.

Al contrario possono esservi dei testi moderni totalmente privi di forma. Proverò a fare un esempio calzante, basato sulla mia esperienza di lettrice. Prenderò ad esempio 3 libri ed i relativi scrittori: Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi, Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo e Jane Eyre di Charlotte Bronte, classico del romanticismo inglese.

Tre libri estremamente diversi tra loro, per i quali in tempi non sospetti e diversi ho covato una forte voglia di lettura per molto tempo. E che quindi partivano a livello emotivo dallo stesso punto. Jack Frusciante è stata la pietra miliare di Brizzi e del suo metodo innovativo di scrittura, con quella sorta di voce fuori campo quasi mai utilizzata dagli scrittori italiani, che ha reso il suo linguaggio più leggero, e quasi sempre molto comprensibile.

Arriviamo poi al libro di Foscolo:  un classico dal punto di vista risorgimentale, molto simile a I Dolori del giovane Werter di Goethe ma rivisto in chiave patriottica. Un periodo storico da me amato, ma completamente rovinato da una prosa, a mio parere non degna del noto poeta. Pesante, con ripetizioni ed alla “Cesare”, su stampo latino con il verbo alla fine. Illeggibile.

Abbiamo poi Charlotte Bronte: linguaggio non sempre facile dal punto di vista sintattico, ma reso fluido dalla giusta punteggiatura. Parliamo di un libro attraverso il quale si può capire l’importanza del punto-e-virgola. Raccontatemi la vostra esperienza. Vi è capitato di mal tollerare un classico per via del suo linguaggio?

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