Addio alle armi, di Ernest Hemingway

Addio alle Armi è forse il romanzo di Ernest Hemingway più conosciuto.  E l’unico da me, apprezzato. In questo, inutile negarlo, ebbe un forte aiuto da parte della trasposizione cinematografica delle memorie di Agnes Von Kurowsky, l’infermiera con la quale in Italia Ernest Hemingway ebbe una storia travagliata e molto particolare. Addio alle Armi nasce ispirato da tale storia, ed è palese, almeno dal mio punto di vista che la sua conclusione dipenda da come le cose si evolsero nella realtà.

Dal punto di vista della lingua scritta, un libro come quello di Ernest Hemingway può piacere o non piacere. Mi sono convinta che con lui è una sorta di prendere o lasciare. Perché ha una capacità, dettata dalle sole parole, di portarti su un ottovolante emotivo davvero disgraziato. Sarà stata l’esperienza, sarà un vezzo dato dalla sua “bipolarità”, ma senza dubbio lo scrittore è uno che senza mezzi termini è in grado di descrivere situazioni e catapultarti nelle stesse in modo essenziale e definitivo.

Avendolo letto anche in lingua originale (ho avuto questa fortuna, n.d.r.) nulla mi toglierà dalla mente la convinzione che molte opere ci risultano ostiche per via di una traduzione che con il testo originale non ha niente a che fare.  Specialmente per lo stile.  Nessuno mi fucilerà se dico senza mezzi termini che la traduzione italiana è decisamente pesante rispetto all’originale inglese. Per molti versi più pulito anche a livello semantico.

Una delle cose che mi ha colpito di più del libro è la rabbia riscontrabile di sottofondo. Anche quando racconta della felicità con la sua dolce metà. E questo non è un fattore derivante da discrepanze tecniche. Avendo avuto la possibilità di studiare le “fonti” di ispirazione del romanzo, mi son resa conto che per quanto lo scrittore possa averlo negato in passato… una certa influenza della realtà sulla finzione, questa volta vi è stata.

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