Amleto, di William Shakespeare

principe di danimarcaIl capolavoro. In assoluto. E’ impossibile non connotare in questo modo l’Amleto di William Shakespeare. E che nessuno venga a dirmi che è difficile da leggere, noioso o poco attuale. Si legge velocemente, è interessante, la caratterizzazione dei personaggi è spettacolare. Le immagini che evoca sono davvero difficili da dimenticare. E soprattutto è sincero e decisamente applicabile alla vita comune. Senza contare il fatto che è considerabile il “re” delle citazioni.

Il monologo dell'”essere o non essere” l’abbiamo usato tutti, anche se appena accennato, almeno una volta in vita. Personalmente colei che vi scrive è anche fervida sostenitrice del detto da esso estratto:  “C’è del marcio in Danimarca”. Potrà sembrarvi una boutade questa mia ultima osservazione, ed giustificabile, ma ancora non ho incontrato nessuno che fosse in grado di criticare  negativamente  questa opera.  Io lo considero al pari di un romanzo, ma anche in questo caso, come tutte le opere del grande Bardo, si tratta di una piece teatrale, scritta ovviamente per essere rappresentata.

E la sua bellezza non risiede solamente in un ritmo di andatura pazzesca, che quasi non da tempo al lettore di riprendersi tra una scena e l’altra, ma da un altissima caratterizzazione dei personaggi che li fa sembrare così reali da poterli quasi toccare.  Personalmente, senza svelarvi troppo della trama (un po’ perchè non ce ne è bisogno, un po’ per non rovinare il gusto della scoperta a chi ancora non ha avuto modo di leggerlo, n.d.r), amo alla follia il ritorno di Amleto in Danimarca non molto prima del duello, quando parla con il teschio di Yorick e scopre la morte di Ofelia. Sebbene si senta sul proprio essere la sofferenza del protagonista nel corso di tutta l’opera, è sulla tomba della giovane e nei versi successivi che il dolore del protagonista trova la sua completa formazione.

E non mi vergogno ad ammettere di essermi commossa nella lettura.

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