Romeo e Giulietta, di William Shakespeare

Partiamo da un presupposto necessario: quando si parla di William Shakespeare il problema non consta nel fatto che si parli di un autore dalla fama secolare e dall’indubbia bravura, quando del fatto che non ci siamo approcciati ad una normale prosa ma ad un’opera teatrale, una sceneggiatura. Ed i parametri di giudizio saranno ovviamente diversi, anche se sempre di narrativa si parla, rispetto ad un normale romanzo. Detto questo, mi concedete di dire che quando si tratta di Romeo e Giulietta si parla di un libro un po’ noioso?

Sperando che nella scrittura di questa recensione non mi colga l’anatema di tutti gli shakesperiani del pianeta, voglio sottolineare che in questo caso la mia idiosincrasia verso i classici non ha nulla a che vedere con questa mia impressione. Io adoro Shakespeare, ma nelle sue opere più visionarie e meno scontate. Romeo e Giulietta è essenzialmente una storia d’amore, vissuta allo stremo della forza vitale dei protagonisti ed all’estremo di ogni singolo sentimento.

N0n è un problema di fine più o meno lieta: il Bardo ha messo in scena più che altro drammi nella sua vita, e siamo abituati a vederlo dispensare morte ovunque. Il problema,  e non fulminatemi per questo, è ravvisabile a mio modesto parere nella trama stessa. E’ infatti inconcepibile che all’interno degli atti ad essere più attraenti per un lettore siano le parti che con la storia d’amore non hanno nulla a che fare.  O, spiegando meglio: essendo Romeo e Giulietta una storia d’amore, trovo alquanto strano che le parti meglio sviluppate non riguardino i due protagonisti, quanto personaggi comprimari come Mercuzio, fuori dagli schemi senza dubbio, ma decisamente più incisivo nei suoi interventi.

Il linguaggio antico utilizzato ha il suo fascino, quella sorta di “prosa/poesia” non stanca mai, su questo William Shakespeare era ed è un maestro ineguagliabile. Ma tra le sue composizioni, Romeo e Giulietta è forse la più scarsa dal punto di vista dell’intreccio.

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