Pseudonimi nei libri: sono davvero utili?

Non molto tempo va avevamo condiviso con voi la notizia dell’uscita del libro della scrittrice Tristan Banon sulla vicenda che l’ha vista insieem a  Domique Strauss-Khan, ex pretendente alla corsa all’Eliseo francese, in merito ad un tentativo presunto di stupro dell’uomo nei suoi confronti. Tutti quanti si aspettavano nomi “nero su bianco”. Al posto del signore sopracitato, per identificarlo viene utilizzato lo pseudonimoIl maiale“. Quello che ci chiediamo: l’utilizzo degli pseudonimi è utile?

Riflettiamo prima di tutto sul suo utilizzo all’interno del libro sopracitato, “Il ballo degli ipocriti“. Tutti sanno a chi si riferisce, tutti a somme linee conoscono la storia, ma l’autrice ha scelto di utilizzate uno pseudonimo. In questo caso sono due le scuole di pensiero alle quali si da adito: la prima è che sia una scelta denigratoria, la seconda che sia un mezzo per raccontare la verità senza però incorrere in sanzioni di tipo legale, dato che il nome del protagonista non è esplicitato, sebbene noto a tutti.

E soprattutto da questo punto di vista si tratta di una scelta saggia, sia da parte dell’autrice che dell’editore, il quale in questo modo riesce a non assumersi tutte le responsabilità di ciò che è stato pubblicato.

Solitamente quando si parla di pseudonimi sono gli scrittori stessi a scegliersene uno per la pubblicazione di alcune opere: una scelta dettata dalla voglia spesso di pubblicare qualcosa che si scosta dal genere di appartenenza o dal capriccio di vedere quanto lo stile sia riconoscibile dai lettori. Molto raramente al contrario si scelgono degli pseudomini all’interno di un libro. E nei casi in cui accade in un opera di fiction, mi viene in mente “L’ultimo cavaliere” di Stephen King, difficilmente lo stesso permane in tutta la storia.

Se si analizza la situazione, alla fine, lo pseudonimo è utile solamente da un punto di vista legale.

 

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