Premi letterari, sono troppi davvero?

In Italia vi è un esubero di premi letterari? E’ questa la domanda che si pongono in molti, tanto da spingere i media a riprendere l’interrogativo in maniera più ampia attraverso interviste e iniziative. La risposta? Si e no.  Oggettivamente 1806 concorsi presenti sul territorio italiano sono molti, ma a quanti di queste “gare di letteratura” uno scrittore in erba ha accesso? E quanti davvero significano qualcosa?

Prendiamo ad esempio lo Strega, l’ultimo verificatosi in ordine di tempo: dagli addetti ai lavori è conosciuto per essere praticamente inarrivabile. O sei sostenuto in maniera forte da una casa editrice, o altrimenti non se ne fa nulla, senza contare poi che anno dopo anno si fanno sempre più insistenti le voci di un mercato di scambio di voti ma soprattutto della messa in atto di una cerimonia ormai vuota e di un concorso privo di modernità.

Il discorso “premi” dovrebbe essere ampliato rispetto a ciò che avviene solitamente: a breve avremo il Bancarella, ed a settembre il Campiello: nomi di una certa risonanza per ciò che riguarda il panorama italiano. Il problema dove consta nella maggior parte dei casi? Che si tratta di autocelebrazioni dei gusti della giuria e quasi mai dell’effettivo gusto del lettore che quasi sempre si tiene decisamente lontano dalla dicitura “vincitore di” o “finalista a” quando acquista un libro, a meno che non debba fare un regalo e non possiede una minima idea dei gusti della persona alla quale lo regala.

Sinceramente unica eccezione a questa “regola” l’ho trovata con il romanzo “Acciaio” di Silvia Avallone: finalista al Premio Strega, era effettivamente una bella storia, che poteva essere raccontata meglio, ma che di certo ha mostrato del buon materiale.

Discorso ben diverso vale per quei concorsi semi-sconosciuti che da anni si ripetono in quanto a prosa e poesia. Rappresentano effettivamente una piccola vetrina, in attesa della grande occasione.

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