Che Dio perdona a tutti di Pif, recensione

Ci sono dei libri che ti attirano per via dei loro autori ed altri lo fanno per via del loro titolo: è quello che è successo con “Che Dio perdona a tutti” di Pif, che nella testa è risuonato per prima cosa come parte di una specifica canzone di Roy Paci.

La quale, manco a farlo apposta (o forse si) si adatta perfettamente anche al romanzo creato da Pif. Un testo che con la giusta serietà ma al contempo leggerezza (per il lettore, N.d.R.) analizza quella che è l’ipocrisia dell’essere umano. E più nello specifico di quelli che vivono in Italia e si definiscono cattolici ma che di seguire il messaggio d’amore della religione non ne hanno davvero intenzione. Una delle cose divertenti della lettura consta nel fatto che è impossibile non leggere e sentire nella propria mente la voce dello scrittore, ma tralasciando questo, quel che si ama particolarmente di questo autore è la sua capacità di raccontare quel che la religione è in grado di fare quando diventa la differenza che… fa la differenza.

E anche l’amore, per quanto bello e condiviso, ne risente.  L’esperimento che il protagonista Arturo decide di fare per la sua Flora è quello di diventare per tre settimane un cattolico di quelli irriducibili. Inutile dire che il risultato ovviamente grottesco di questa scelta porta a conseguenze imporranti, portando il lettore a comprendere che alla fine della giornata quel che è consigliabile fare è comportarsi con giustizia e senza ipocrisia. A quale pro battersi il petto se poi si odiano le persone e si fa loro del male?

 

 

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