Cinquanta Sfumature di minchia, di Ottavio Cappellani

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Cinquanta sfumature di Minchia è un libro particolare. Divertente, talvolta pesante. Non è una contraddizione in termini, ma la pura e semplice verità: alcune sfumature sono comprensibili, altre ci vuole un poco per digerirle forse perchè si è donne e non si ha l’elasticità mentale di scherzare o prendere con ironia alcune battute. A conti fatti, ad ogni modo, è un libro simpatico, poco costoso e in grado di far passare il tempo.

Questo non significa che sia senza infamia o senza lode. Vi sono delle sfumature davvero divertenti che meriterebbero di essere messe su dei biglietti da visita per le verità che raccontano ed il modo in cui sono raccontate. E’ pur vero però che il dialetto siciliano misto a qualche strafalcione buttato apposta qua e là rendono la lettura davvero complessa per chi non ha una infarinatura dialettale del luogo.  Se dovessi spiegare con poche parole come questo libro è composto lo comparerei a “Cinquanta sbavature di Gigio” per l’organizzazione ed ad una raccolta di barzellette per il contenuto.  Ma barzellette buone, intendiamoci.

Quel che è certo, e ci metterei la mano sul fuoco, questo libro sarebbe in grado di far vedere i sorci verdi agli estimatori poco ironici delle “Cinquanta sfumature” originali. Non solo per le prese in giro più o meno bonarie che si avvicendano nelle storie, visto che in fin dei conti “Cinquanta sfumature di minchia” non è altro che una parodia di come le persone hanno accolto i libri della James (spettacolare l’immagine di una delle protagoniste che prende a testate la cabina in spiaggia perchè ha scoperto che alla fine di “Cinquanta sfumature di grigio” i due protagonisti si lasciano, N.d.R.) ma per il fatto che qualsiasi parodia scritta ha una struttura decisamente più solida dell’originale.

Un consiglio? Leggetelo, ma preparatevi a comprenderlo: se dotati di naturale ironia non avrete problemi.

Voto: 6 

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