La lunga marcia, di Stephen King

Torniamo oggi a parlare dello Stephen King degli esordi, il Richard Bachman particolarmente prolifico di storie in grado di annientare psicologicamente il lettore. Oggi ho pensato di proporvi la recensione de “La lunga marcia”. Si tratta di uno dei libri più vecchi dello scrittore americano. E se devo essere sincera, uno di quelli che meno mi stanco a rileggere. Anche se praticamente, pur non potendo citare parola per parola, conosco in ogni minimo particolare.

Rientra tra i miei preferiti? Non proprio. Più che altro per la storia, che sembra così reale che da un momento all’altro ti aspetti che accendendo la televisione ti si possa presentare la cronaca della marcia. Una marcia assassina dove chi non riesce ad arrivare dalla partenza alla fine…è destinato a cadere sotto la mitragliatrice assassina dell’esercito.

Riassumendo in poche parole la storia la”Marcia” è una corsa, una maratona che si srotola attraverso gli Stati Uniti, ripresa in diretta nella quale bisogna semplicemente correre, senza mai perdere il ritmo pena delle ammonizioni ufficiali. A tre di questi avvertimenti, cancellabili mantenendo la giusta velocità per un ora, a sopraggiungere è la morte, per mano di cecchini statali pronti a farti fuori.  Il vincitore, colui che arriva primo è destinato alla vincita di una montagna incredibile di denaro ed onori, dato che può richiedere tutto ciò che vuole, ottenendolo, per il resto dei suoi giorni.

Si tratta di una competizione alla quale ci si può iscrivere volontariamente. C’è chi pensa che sia in parte la metafora della vita. E cercando di vedere l’intera storia dall’esterno è questa l’impressione che ho anche io, specialmente per la quantità di personalità differenti che si affacciano nella vita del nostro protagonista, Ray Garraty.

Quello che posso assicurare è che non c’è un attimo del libro nel quale non si senta l’unione spirituale e mentale con il protagonista.  Si soffre, si attende, si stringono i denti con lui. Si crea uno stato di empatia incredibile.

Ed il finale… è sempre una sorpresa. Ben scritto e scorrevole, vorrei quasi non dirlo, sembra proprio che nei panni Bachman Stephen King o compone capolavori o delle autentiche schifezze.

 

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