Il rasoio di Occam di Massimo Smith

A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire.

Questo è il principio con cui Guglielmo di Occam, filosofo inglese del quattordicesimo secolo, ha illuminato anche il pensiero scientifico moderno. Solo che in Il rasoio di Occam di Massimo Smith, autore napoletano classe 1964, le cose non vanno apparentemente in questo modo.

Nel romanzo, edito da Fanucci, le vicende in cui si imbatte Francesca, giornalista napoletana, sono complesse e difficili da interpretare. Testimone oculare dell’omicidio di un bambino, Francesca ne parla con toni accesi nel blog del giornale. Presa dalla rabbia, racconta nei dettagli come si vendicherebbe di chi ha causato la morte del piccolo.

La notte stessa due persone vengono uccise con le modalità da lei descritte. Sospettata e condotta in commissariato, Francesca si ritroverà non solo a dover difendere la propria innocenza, ma anche il suo rapporto di coppia che, man mano che le indagini proseguono, crolla sotto il peso della tensione.

Intorno alla giornalista, il lettore avrà modo di conoscere personaggi che solitamente vivono ai margini, ma che acquisteranno invece un ruolo fondamentale, sia nella vita di Francesca che nello scoprire l’identità del maniaco omicida.

Il rasoio di Occam è un romanzo cupo, coinvolgente. Il classico libro che si cerca di finire il più in fretta possibile perché altrimenti le giornate trascorreranno lambiccandosi il cervello per risolvere le indagini al posto del commissario. Per il mio amico appassionato di gialli, la forza di Smith sta nel farci intuire un dettaglio importante (non vi dico quale) sin dall’inizio della storia costringendoci appunto a prendere appunti, elaborare schemi pur di arrivare alla soluzione prima dello scrittore.

A me, che non sono un’appassionata di gialli, il romanzo è sembrato ottimo nella descrizione di una certa vita da giornalista, a volte però un po’ forzato nella trama, ma lo dico da inesperta del genere. Mi sembra poi che Massimo Smith renda meglio nelle descrizioni che non nei dialoghi, che trovo poco appassionanti e verosimili. Il finale di sicuro vi lascerà esterrefatti. Ora, ovviamente, passo la palla a voi lettori di Libri e Bit: avete già letto il libro? Cosa ne pensate?

Fare il giornalista è un lavoro che spezza i polsi, soprattutto se non si è uno dei pochi eletti che ha un contratto con un giornale decente. Francesca, invece, veniva dal fondo della pentola, dove fare la gavetta significa rimestare rimasugli e accontentarsi di precariato e di quattro spiccioli. […]

“I giornalisti si alzano tardi perché non si sa quando possono andare a dormire” gli aveva borbottato lei una delle prime volte sonnecchiando su una tazzina vuota. Le piaceva dormire, questo è certo, ma per il resto diceva la verità: c’è gente che tira mezzanotte per raccogliere una notizia di venti righe.

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