Quinto comadamento di Valerio Massimo Manfredi: recensione

Non ne è il fulcro principale, ma sapere che per “Quinto comandamento” di Valerio Massimo Manfredi si è apertamente ispirato ad una persona realmente esistita aggiunge quel pizzico in più di interesse alla lettura che è in grado di catturare anche chi con lo scrittore non ha un rapporto strettissimo.

Vi sono pochi dubbi sulla capacità di questo autore di saper scrivere storie: lo abbiamo visto nel corso degli anni con gli innumerevoli successi che hanno caratterizzato la sua carriera. Quel che la maggior parte delle persone che sentono il nome di Valerio Massimo Manfredi devono comprendere è che non vi è nelle sue corde la solo la storia romana antica ma che lo scrittore è in grado di analizzare al massimo e romanzare per un uso più ampio della popolazione anche la storia contemporanea, con tutte le sue contraddizioni e le sue problematiche.

Come sempre utilizzando un linguaggio abbastanza fluido e scorrevole l’autore, approfittando di quella che è la storia di un padre spirituale vissuto in Congo durante la guerra Civile del 1960-1966, dà vita ad un romanzo dove il focus principale non è dato solo dalla storia raccontata ma dai temi propri di quei tempi e quei luoghi come i problemi ambientali, la politica, la povertà. E questo è un pregevole punto di forza dell’intero manoscritto che, a prescindere che si siano apprezzate le opere di Manfredi in passato, riesce a catturare l’attenzione con la semplicità ed in qualche modo la tragicità della sua narrazione. Essa è una finestra su un mondo praticamente sconosciuto per molti un romanzo storico che in qualche modo mette anche in discussione la Chiesa che conosciamo, attirandoci verso di sé.

 

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