Libri: quale è il limite della censura nelle carceri?

In America questa settimana si celebra il diritto alla lettura e, nemmeno a farlo apposta, dall’Alabama arriva la notizia del rifiuto, da parte di un carcere, di dare la possibilità ad un detenuto, di leggere  “Slavery by Another Name“‘, un saggio storico sui discendenti degli schiavi neri che trovano la libertà dopo l’Emancipation Proclamation. Questo spunto ci consente una riflessione: fin dove ci si può spingere nelle carceri nella libertà di scelta dei libri? E come le stesse trattano tale materia?

E’ una domanda che mi sono posta diverse volte, e non solo perché la prigione in questione si è giustificata sostenendo che un libro del genere potesse incitare all’odio razziale, ma perché per mia esperienza personale so che la limitazione delle carceri statunitensi, in quanto a contenuti, è legata al sesso.

Inviare libri presso un carcere americano non è facilissimo. In Italia, in linea di massima la situazione è abbastanza tranquilla, la spedizione può avvenire e la consegna non rappresenta problemi, previo un ovvio controllo delle autorità per accertarsi che il tutto sia regolare.  Anche in America funziona in tal modo, anche se, spesso e volentieri il limite (come purtroppo accade anche qui da noi) è dato dall’intelligenza e dal comportamento di chi è adibito ai controlli.

Quello che va ricordato infatti è che a livello sociale un detenuto ha diritto agli stessi diritti di qualsiasi comune mortale. Ivi compreso quello della lettura che in linea di massima viene garantita da alcune strutture, mentre da altre negata e lasciata al sostentamento di parenti esterno.

Il limite imposto sul materiale sessualmente esplicito posto negli Stati Uniti è facile da comprendere. Immaginate una prigione statale di media sicurezza, dove centinaia di detenuti vivono e dormono ammassati gli uni sugli altri. Gioà la situazione è promiscua in maniera allarmante, immaginate cosa potrebbe succedere se iniziasse a circolare del materiale esplicito. De Sade diventerebbe una barzelletta.

Libri che incitino alla violenza sono altrettanto vietati. Ma come può essere considerato tale un saggio critico sulla schiavitù? Purtroppo storie di questo genere sono spesso frutto di ripicche personali. Ma è un bene che la notizia sia trapelata a livello mondiale. E’ un modo per aprire uno squarcio non solo sulle condizioni dei detenuti, ma per ciò che ci riguarda sul trattamento che viene inferto ai libri.

Sapevate che in America le carceri pretendono  la spedizione diretta dal negozio, e quasi sempre, sia che si tratti di brossura le copertine vengono strappate? Posso darvene dimostrazione con la mia copia de “L’innocente” di John Grisham, speditami da Carlo Parlanti, il protagonista del libro di criminologia scritto da Vincenzo Mastronardi e  da me recensito qualche tempo fa dal carcere californiano di Avenal.

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