La casa del buio, di Stephen King e Peter Straub

La collaborazione tra Stephen King e Peter Straub fa buon frutti, su questo non vi è alcun dubbio, soprattutto per la sua capacità di mitigare quelli che sono i difetti di entrambi gli scrittori riempiendo il vuoto con i loro pregi. E La casa del buio, sequel de Il talismano, ne è la riprova.  Una maggiore maturità artistica della coppia ha fatto in modo tale poi che l’opera rappresentasse un vero e proprio gioiello della letteratura horror statunitense.

Nei confronti di questo libro io ho una sensazione molto particolare. Ne adoro lo stile, l’intreccio, la sostanza. Ma ne rifuggo in buona parte la trama, essenzialmente perché alcune parti di essa sono davvero tristi a leggersi, che difficilmente si riesce a sostenere una rilettura ravvicinata del libro. Rileggere un opera, sebbene a me ostica, non ha mai rappresentato un vero problema.

Eppure, mi rendo conto che rileggere questo libro, davvero buono sotto ogni punto di vista, non è facilissimo. Probabilmente sarò l’unica a vederla in questo modo ma è impossibile fare altrimenti. E lo ripeto, a parer mio è uno dei migliori libri dello scrittore: scorrevole come pochi ed altrettanto emozionante. L’inizio è forse un po’ lento. Ma non inficia a mio parere il tutto.

La storia è molto semplice. Siamo davanti ad un Jack Sawyer, adulto, che dopo averne viste di ogni genere come ispettore della Omicidi di Los Angeles decide di ritornare a vivere nella pace del Wisconsin. Purtroppo per lui il destino ha in mente qualcosa di differente: dargli modo di salvare centinaia di bambini rapiti da un folle pazzo.

Anche qui i Territori della sua infanzia avranno il suo peso, soprattutto alla fine, impensabile, della sua avventura. Jack Viaggiante, questo il nome con il quale il ragazzino che nella sua infanzia salvò la madre è conosciuto nei Territori, si troverà a conquistare molto ed a rinunciare a qualcosa che in fondo, non era poi troppo importante.

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