Buick 8, di Stephen King

Buick 8 è uno di quei libri che io raccolgo sotto lo scaglione  dei libri moderni di Stephen King,. Ma sarei ipocrita se non dicessi che mi ha lasciata perplessa la sua lettura. Essenzialmente si tratta di una storia ben scritta, emozionante al punto giusto, ma incompleta. Come se in qualche modo, mancasse qualche spiegazione necessaria alla completa digeribilità del libro.

Stephen King non disdegna mettere ai centro delle sue storie le auto: lo fece già e con successo con il libro Christine: la macchina infernale, quello che ritengo sia uno dei suoi maggiori capolavori di letteratura. Decide di rifarlo anche qui, in un esperimento riuscito… ma non troppo. Perché manca una contestualizzazione dell’elemento che al contrario è presente in diversi altri suoi libri.  Protagonisti sono Ned e Sandy, rispettivamente figlio di un poliziotto morto in servizio ed il collega di quest ultimo. Sandy, ancora in servizio, inizia a parlare con Ned del padre, della sua morta e di quella macchina che da anni è rinchiusa nel garage della stazione di polizia.

Una macchina molto strana, un segreto del comando e della squadra che Ned si trova a condividere perché “figlio di” e perché, secondo i colleghi del defunto padre, era giusto metterne a conoscenza il ragazzo per la dedizione con la quale Curtis, il padre di questo vi si dedicava. La macchina, si scoprirà in seguito, è un portale tra due mondi. Talvolta qualcosa esce da lei. Ma in alcuni casi è la macchina a cercare il suo tributo di sangue, come se vivesse di vita propria.

Qualcosa porta a credere che nella morte di Curtis la macchina possa essere in qualche modo comprimaria perché lo stesso stava tentando di scoprire come “ucciderla”. Ned, insieme a Sandy, si troverà, si può dire, a finire il lavoro.

Il libro, sebbene sia molto discorsivo ed in flashback non risulta noioso. Ma la scarsa contestualizzazione del mondo dietro la macchina fa si che alla fine della lettura si abbia l’amaro in bocca, come se non fosse stato detto tutto.