Carrie, di Stephen King

Torniamo indietro, agli esordi della carriera di Stephen King. Parleremo infatti del suo primo romanzo in assoluto: “Carrie”. Un libro che fece la fortuna dello scrittore quando Brian De Palma decise di trasformarlo in un soggetto cinematografico e che rappresenta un po’ la pietra miliare dello scrittore che oggi tutti noi conosciamo.  Un libro con dei pregi notevoli, ma anche qualche difetto.

Partiamo da un presupposto. Rispetto agli “allori” di oggi, si tratta di uno Stephen King acerbo. Quello di Carrie è uno scrittore che ancora tenta di sbarcare il lunario con qualche racconto pubblicato qua e là in riviste per soli uomini e qualche supplenza. Una “urgenza” che si sente, soprattutto nell’organizzazione del romanzo. Dire che tale “situazione” abbia potuto inficiare la prosa è una considerazione ipocrita e poco corretta.

Quello che fa il successo di questo libro è la scelta del soggetto: un tema  alla portata di tutti e nel quale immedesimarsi facilmente: quella del bullismo scolastico, condita ovviamente con una piccola (grande) dose di paranormale che ovviamente nei libri del terrore, perché tale è Carrie, non fa mai male. Basti pensare che si tratta di un libro che tuttora viene censurato nelle scuole americane.

E’ forse il più breve romanzo di Stephen King, ma sicuramente uno di quelli che incute più timore, questo va riconosciuto. In molti sostengono che sia più una denuncia nei confronti del bullismo che una vera e propria storia dell’orrore.  A prescindere da tutto ciò, Carrie è senza dubbio una storia che mette in luce diversi problemi e diverse ipocrisie. Anche la scelta di rendere la madre della giovane una fervente cattolica estremista contribuisce a dare all’intera storia quell’aurea di misticismo che non fa altro che amplificare il tenore soprannaturale della storia.

Piccola curiosità: per Carrie e sua madre, Stephen King si è ispirato a diverse persone da lui conosciute.

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