L’esorcista di William Peter Blatty, recensione

Ogni tanto serve leggere quel libro di cui si conosce il film a menadito. Un po’ per poter contare su una lettura leggera e non impegnativa, un po’ per mettersi alla prova sul proprio senso critico. “L’esorcista” di William Peter Blatty può sembrare tutt’altro che semplice.

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In realtà lo è abbastanza. Perché la storia nel bene o nel male è conosciuta e perché lo stile dello scrittore è tutt’altro che faticoso da affrontare. E quando un libro è scritto bene a livello puramente tecnico, non si fa alcuna fatica a leggerlo, soprattutto se si ha passione per questa attività. La forza di questa storia è la “normalità” con il quale viene raccontato come il male si insinua nella vita della piccola Reagan e di come sia in grado di stravolgerne l’esistenza. I personaggi hanno uno sviluppo molto più contestualizzato rispetto a ciò che si è potuto vedere nel film che è stato tratto dall’opera.

La mancanza di “sorprese”, soprattutto per le nuove generazioni che si avvicinano a “L’esorcista” di William Peter Blatty non cancella, ad ogni modo, quella che è la forza del romanzo: ovvero gli approcci della lotta tra il bene ed il male. Alla fine della lettura si ha comunque l’impressione che cose del genere possono accadere a chiunque. Ed è innegabile: è questo che una buona storia dell’orrore fa. Convincere il lettore della “possibilità” della sua storia, a prescindere che si tratti di un libro liberamente ispirato a storie vere o il fantasy più estremo al quale si possa pensare.

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