Recensione di “Un covo di vipere” di Andrea Camilleri

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Un covo di Vipere” è l’ultima uscita in ordine cronologico di Andrea Camilleri. Ma attenzione, non lo è nella “storyline” di Salvo Montalbano. Il libro infatti, scritto nel 2008, ha visto la luce solo ora per decisione della casa editrice. Se volete raccogliere “spoiler” seguenti ad “Una lama di luce“, avete sbagliato libro.

Più in generale non lo avete sbagliato se siete amanti di Andrea Camilleri, del Commissario Montalbano, o semplicemente volete avvicinarvi a questo autore. Non è una novità che lo scrittore scriva in dialetto siciliano misto ad italiano le avventure del suo poliziotto, ma è altrettanto palese che passata qualche pagina, si impara presto ad avere a che fare con questa prosa e la comprensione del romanzo non ne viene attaccata. “Un covo di Vipere” rispetta la tradizione  e dopo qualche momento di smarrimento, si viene catapultati nel mondo del commissario.  Una vita nella quale non mancano le certezze create dai personaggi a lui vicini, ne le “novità” portate dal caso che si trova ad affrontare. In questo libro molto è legato alla figura del barbone , anche se non sembrerebbe. Ed è proprio questo sottile incastro, unito alla pressa di coscienza di Montalbano in merito alla sua vita a dare lo sprint al volume.

Non si può definirlo “innovativo” e che si sia abituati agli altri libri o si abbia una conoscenza televisiva del personaggio, le cose non cambiano. Sembra di essere tornati a casa, ma contemporaneamente quasi si auspica un cambiamento. Rivelarvi qualcosa della trama non sarebbe giusto, per questo vi sono le sinossi, che riassumendo il tutto danno un indizio.  Cosimo Barletta, la vittima, viene in pratica ucciso due volte. Dietro di lui un mondo decisamente scabroso, che noi però riusciamo a vedere grazie ad Andrea Camilleri, attraverso gli occhi dei nostri protagonisti. E questo ci aiuta senza dubbio nel mantenere una sorta di occhio critico. Personalmente l’ho trovato avvincente quanto basta, ed abbastanza coinvolgente.

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