Il libro segreto di Dante, di Francesco Fioretti

Ne rimasi incuriosita scrivendone per voi la presentazione. E complice un buon prezzo, va detta tutta, decisi di comprarlo. Parlo de “Il libro segreto di Dante” di Francesco Fioretti.  Si tratta di una storia della quale non vedevo l’ora di fare una recensione perché mi ha lasciato particolarmente colpita in positivo per alcuni versi e decisamente sconcertata per altri. Soprattutto in virtù del fatto che io amo poco i libri in qualche modo “revisionisti” della storia alla Dan Brown.

Fortunatamente questo libro con lo scrittore americano non hanno niente a che fare. Anzi, si discosta in maniera molto forte da quel tipo di impostazione a mio parere. Prima di tutto perché ambientato ai tempi di Dante, la persona al centro della narrazione. Ed in secondo modo perché chi scrive della Divina Commedia in questo caso è un profondo conoscitore della materia essendo un ricercatore concentrato sul tema, un “dantista” (vi piace il neologismo?).

Quindi sarei una ipocrita se non dicessi che la storia non mi è piaciuta: e che in qualche modo la vita di Giovanni da Lucca e Suor Beatrice (la figlia di Dante) con i loro guai e le loro preoccupazioni relative ai capitoli scomparsi del Paradiso non abbia stuzzicato la mia fantasia. Francesco Fioretti ha un pregio davvero raro che difficilmente ho riscontrato in altri scrittori italiani: ha la capacità di raccontare. Descrizioni, discorsi indiretti: si nota che è uno studioso della materia, della tecnica alla base della lingua italiana.

Peccato che questo buon lavoro venga rovinato non solo da una sorta di compressione che si fa nella storia, ma da un pessimo lavoro di editing.  Che male c’era ad ampliare alcune parti di storia senza lasciarle tronche? Rimane quasi una sensazione di attesa alla fine.

Ma soprattutto, e qui lo scrittore vi entra solo in parte, possibile che una divisione in paragrafi non fosse suggeribile dai professionisti chiamati a “correggere” le bozze? In alcuni casi si confondono addirittura i personaggi per via di una non divisione tra i blocchi di racconto.  E come se un capolavoro fosse stato costretto in un’ampolla per non crescere troppo. Ed è davvero uno spreco, perché la storia merita. E molto.

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