Hitchcock e i piccoli editori

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Un paio di giorni fa mi sono imbattuta in uno dei film di Alfred Hitchcock che mi piacciono di più ovvero Nodo alla gola. Probabilmente lo conoscete anche con il titolo di Cocktail per un cadavere. La storia, non so se la ricordate, è quella di una coppia di omosessuali che strangolano un amico e lo mettono nella cassapanca su cui serviranno appunto i cocktail per gli amici.

Come? Non ricordate il fatto che la coppia di assassini fosse una coppia omosessuale? Non c’è da stupirsi, non lo ricordavo anzi non lo sapevo neanche io visto che in italiano gli espliciti dialoghi della sceneggiatura vennero tradotti in modo da celare questo non poco influente dettaglio. Ad ogni modo quello che mi interessa è che ad un certo punto della conversazione si comincia a parlare di libri. Di editori, in particolare.

Uno degli ospiti attesi per la serata, infatti, ad un certo punto ha abbandonato la carriera di insegnante/istitutore per darsi a quella di editore. La ragazza, giornalista interessata a farsi pubblicare, spera che possa essere un contatto utile, ma viene subito disillusa. Si tratta infatti di un editore che pubblica solo ciò che gli piace ovvero, come commenta la ragazza:

caratteri piccoli, parole grosse, affari scarsi

Il protagonista aggiunge che Rupert, l’editore, ha anche un’altra fissazione:

sceglie i suoi libri con l’idea che il pubblico sappia non solo leggere, ma anche pensare

Sono andata a controllare l’anno di uscita del film: 1948. Mi sono detta che alla fine non sono cambiate poi tante cose, non credete? Che si tratti di luoghi comuni, quelli che vogliono un piccolo editore impegnato, attento ai suoi lettori, rispettoso dei suoi lettori, o di verità, sempre più spesso mi capita di trovare titoli interessanti e originali in case editrici di dimensioni apparentemente poco significative rispetto ai colossi dell’editoria. Voi che ne pensate?

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