Storia di una capinera, di Giovanni Verga

Storia di una capinera rappresenta secondo me l’eccezione tra le novelle di Giovanni Verga. Delle numerose da me lette per motivi scolastici, ivi compresi i Malavoglia, è stata l’unica che, nonostante quello stile particolarmente pesante da me ritenuto e tipico dello scrittore, sono riuscita a finire ed ho riletto con interessante curiosità negli anni a seguire. Il tutto è forse dovuto alla sua forma epistolare, o alla coincidenza di aver visto l’omonimo film diretto da Franco Zeffirelli.

Una conferma di una sua spontaneità maggiore (non dobbiamo dimenticare che Verga è uno dei rappresentanti del verismo italiano, quindi deve essere considerato “spontaneo” a prescindere, n.d.r) l’ho poi avuta in seguito, leggendo in un libro sulla letteratura italiana che  la novella in questione è frutto di una esperienza realmente vissuta dallo scrittore nel periodo in quale il colera metteva a ferro e fuoco l’Italia e lui, quindicenne, si era rifugiato con i parenti in un piccolo paese dell’entroterra siculo. Qui aveva conosciuto e si era innamorato di Rosalia, una conversa figlia di amici di famiglia.

Non si può negare, Storia di una Capinera è un libro molto triste. Breve, veloce, ma pregno di dolore e pazzia. Quelli tipici di un innamoramento che sfocia poi nell’isteria, nella follia che ti spinge a cercare l’amato a costo della stessa vita.  E’ questo eccesso di sentimento che scaturisce dalle parole a rendere passabile una prosa (almeno per me) troppo barocca  nello stile e decisamente non paratattica.

La scelta del romanzo epistolare è decisamente azzeccata, e non solo perchè contribuisce in questo modo a far immedesimare il lettore nella povera Maria, letteralmente incastrata in una vita monastica della quale non vorrebbe fare parte, ma perchè al contempo svecchia lo stile di Giovanni Verga rendendolo passabile anche a chi come me lo ha sempre trovato noioso ed ostico. Un libro da leggere, senza dubbio, per avere una idea delle dinamiche dei suoi tempi.

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