Quattro sberle benedette di Andrea Vitali, recensione

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Non è un segreto che voglio portarmi nella tomba: chi vi scrive, nonostante una impressione generale positiva,  con Andrea Vitali ha un rapporto di odio-amore. Gradisco alcune cose, mentre altre le detesto. Per questo mi sono affacciata a “Quattro sberle benedette” con un pizzico di apprensione ma curiosità.

Una delle cose che mi è piaciuta di questo romanzo è l’ambientazione. “Quattro sberle benedette” è ambientato nel 1929 e sembra avere quell’aria seria ma sbarazzina alla Giovannino Guareschi con Don Camillo che non si può fare a meno di apprezzare. E’ incredibile come alcuni personaggi possano entrarti dentro con la loro semplicità. E va detto che con questo libro Andrea Vitali riesce nell’intento. Questo tipo di ritratti confanno perfettamente al suo stile ed al suo modo di raccontare quegli scorci di Italia che in qualche maniera, aggiungerei purtroppo, molti di noi hanno dimenticato.

Si può dire che questa è una storia basata sui conflitti, che però non risulta essere fine a se stessa: abbiamo il maresciallo Ernesto Maccadò che è arrabbiato con tutti coloro che “vogliono indovinare” il sesso del suo primogenito in attesa di nascita; i suoi sottoposti Efisio Mannu, sardo, e l’appuntato Misfatti, siciliano che tentano di farsi le scarpe a vicenda continuamente. Senza contare Don Sisto e tutte le altre storie di liti e “sberle mancate” che arrivano in caserma e che in qualche modo influiscono sui nostri personaggi. Lo spaccato di vita è uno di quelli che meritano. Lo stile scelto da Andrea Vitali è molto buono. Se si può darvi un consiglio spassionato, leggetelo questo libro: difficilmente ne rimarrete delusi.

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