Premio Campiello, ecco i 5 finalisti

Premio Campiello, ecco i cinque nomi finalisti. Ma tutti sono concordi: sebbene la qualità sia medio alta, tra i manoscritti il caso letterario è mancato. Non vi è la rivelazione dell’anno, l’autore da ricordare. Non per questo non vi sono belle storie da raccontare, a partire da una particolare biografia di Emilio Salgari fino ad arrivare al marito che ripensa alla vita della sua giovane moglie defunta.

Il tema è variegato e la risposta, inutile dirlo molto buona. Ecco i titoli giunti in finale per il premio: Disegnare il vento di Ernesto Ferrero (Einaudi); L’ultima sposa di Palmira di Giuseppe Lupo (Marsilio);  Se tu fossi qui di Maria Pia Ammirati (Cairo Editore); Di fama e di sventura di Federica Manzon (Mondadori) e  Non tutti i bastardi sono di Vienna di Andrea Molesini (Sellerio).

Sono stati 193 i manoscritti inviati al concorso, e sono man mano stati scremati per requisiti e merito. Un lavoro certosino, “artigianali” quasi, come spiegano  il presidente del comitato del premio, Giorgio Pullini ed il critico Ermanno Paccagnini:

Siamo degli artigiani della critica e nella crisi attuale dell’artigianato facciamo del nostro meglio. Il problema che ci poniamo è se si tratta di romanzi oppure no, ma cos’è il romanzo? Ci sono infiniti generi, dallo storico al biografico, dal fantascientifico al lirico, per cui il nostro compito è grave e greve. Abbiamo cercato di soffrire un po’ meno quest’anno nell’escludere qualche titolo dal concorso, siamo stati più distaccati, ma se si troverà un eccesso di severità, possiamo dire che l’abbiamo fatto apposta.

E nella scrematura è stato notato che si va dalle idee buone correlate di pessima scrittura (specialmente nei giovani, n.d.r) fino ad arrivare al romanzo con delle buone basi. Un particolare però è emerso in modo netto nelle proposte degli scrittori: la presenza di tante storie familiari, a partire dai problemi padre-figlio, fino ad arrivare ai lutti. In drastico calo, a favore di una prosa storica, il racconto di cronaca.

Per questo motivo, e forse per altri, è mancata l’opera, quella con la O maiuscola. Evidenzia Paccagnini:

Il problema di fondo è la scrittura, la capacità di tenere fino in fondo; deve sostanziarsi e sostanziare il materiale narrativo. Oggi sembra che la saggistica non abbia bisogno della scrittura, ma c’è da suicidarsi.

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