L’isola dell’abbandono di Chiara Gamberale, recensione

L’isola dell’abbandono di Chiara Gamberale è uno di quei romanzi che ti fanno comprendere come sia necessario essere il più possibile obiettivi nella lettura e di come allo stesso tempo uno scrittore di livello possa aver avuto la giornata storta.

L’autrice in questione non mi dispiace, ed in passato ne rimasi particolarmente sorpresa: un po’ per il genere di libro, un po’ perché quando un romanzo è popolare di solito non lo è per meriti. Chiara Gamberale usciva dallo schema e l’opera che lessi altrettanto. Tornando a concedermi un suo libro con L’isola dell’abbandono mi viene necessario ammettere che è stato un errore. Il punto della questione è molto semplice: ci sono dei romanzi che pur pregni di tante belle premesse, non riescono a raggiungere il risultato. E questo perché non sfruttano quegli strumenti che pure accennano in alcuni capitoli con la conseguente impossibilità di dare profondità a personaggi ed intrecci.

I temi affrontati ne L’isola dell’abbandono dovrebbero coinvolgere a tal punto non solo di creare un’immedesimazione potente, ma farti incavolare per il coinvolgimento nella vita dei protagonisti. E’ ciò che ci si aspetta e ciò che in realtà non accade in questo caso. E un problema di questo genere risulta ancora più odioso quando si apprezza lo stile di scrittura. Perché ci si sente un po’ traditi dalle aspettative che si hanno.  Sarebbe potuto essere un libro migliore? Senza dubbio. La storia di base è valida, non eccessivamente scontata. Ma quando ci si trova davanti ad un libro del genere, ci si aspetta di più: perlomeno di non perdersi in quel pizzico di confusione in più rispetto all’accettabile che si incontra a proposito delle dinamiche e delle tempistiche.

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