“Il corridoio di legno” di Giorgio Manacorda, recensione

“Il collegio sembra bello solo dopo molti anni”

. Si apre così “Il corridoio di legno”, il primo romanzo del professore, saggista e poeta Giorgio Manacorda, edito da Voland e presentato lo scorso lunedì alla libreria Feltrinelli presso la Galleria Alberto Sordi di Roma.

Il romanzo, che può definirsi un thriller esistenziale di ispirazione fantapolitica, è ambientato tra Berlino, Roma e una piccola isola, e narra la vicenda di un poliziotto che va a Berlino per un’indagine e torna al collegio nel quale ha passato la sua adolescenza.

In realtà il poliziotto, che solo nelle ultime pagine scopriamo chiamarsi Giorgio, proprio come l’autore, il quale assicura però che il romanzo non è autobiografico, vuole ricostruire le vicende di due fratelli, Andrea e Silvestro, con il quale ha trascorso gli anni del collegio; per far ciò, Giorgio si avvale dell’aiuto di Lotti, l’ex fidanzata di Andrea, il vero protagonista del libro.

Il tempo dell’azione, apparentemente indefinito, è in realtà riconducibile agli anni 70, alla lotta armata, alla Milizia, alle rivolte del ’68; la lingua usata da Manacorda nel suo romanzo d’esordio è estremamente espressiva.

Il romanzo, che è più che altro un’indagine-confessione, si apre con i ricordi di Giorgio della vita del collegio, con una serie di flashback che partono dal momento in cui il poliziotto atterra a Berlino; la voce narrante del romanzo, è però quella di Andrea sotto forma epistolare: con una serie di lettere che scrive all’amico editore tedesco Friederich apprendiamo le vicende di Andrea e di Silvestro, legate a doppio filo ad una donna, Lynn. Due fratelli estremamente diversi, appaiono Andrea e Silvestro, ma speculari per certi versi e soprattutto dalla personalità complicata e appassionata.

Un romanzo, quello di Manacorda, capace di lasciare con il fiato sospeso il lettore, fino all’ultima pagina, perché a volte, come in questo caso, è più tragica e complessa di come sembra.

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