Recensione de La bambina di neve, di Eowyn Ivey

La bambina di neve, Eowyn IveyE’ stato uno dei romanzi più letti di quest’anno e, una volta finito, è impossibile non comprendere il motivo di tanto successo. La bambina di neve, romanzo di esordio della scrittrice e giornalista Eowyn Ivey, è una favola speciale che cattura il cuore di tutti i lettori e li trasporta verso un regno fatato, un mondo magico e poco conosciuto dalla cultura occidentale, più avvezza alle ambientazioni dal sapore inglese e americano, note fin dalla formazione scolastica di primo e secondo grado fino a quella universitaria.

Il romanzo si svolge in Alaska, Paese glaciale e sede di una natura incontaminata che fa da padrona dettando a tutti coloro che popolano questa terra le regole di un gioco in cui l’uomo appare solo un essere subordinato e fragile. Gli uomini e le donne del romanzo conoscono il freddo, la paura e la morte: la loro esistenza è cadenzata dai ritmi del tempo che, senza alcuna pietà, suggerisce loro i tempi di semina e raccolta, quelli di caccia e quelli di riposo.

Tra il popolo dell’Alaska del 1920 vive anche Mabel, moglie di Jack, figlia di un professore di letteratura e cittadina forense trasferita in Alaska per volontà del marito. In lei giace il desiderio, mai realizzato, di poter crescere un figlio e formare una famiglia, un sogno che, in passato, la vita le strappò via con forza. In una notte avvolta da una coltre di candida neve e sotto un cielo stellato e denso, Mabel e Jack creeranno una bambina di neve, un essere perfetto che prenderà vita cambiando per sempre la loro esistenza e quella degli amici più cari.

La storia narrata da Eowyn Ivey è una fiaba dal sapore antico che prende spunto dalla tradizione letteraria russa e che, dopo secoli, giunge fino a noi in un romanzo speciale, una favola nella favola che fa tornare bambini.

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