Recensione di Hunger Games-La ragazza di fuoco, di Suzanne Collins

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La ragazza di fuoco“, secondo capitolo della saga degli Hunger Games di Suzanne Collins non può essere considerato altro che un libro di passaggio. Ed a ben vedere è davvero un peccato. Perché per le prime cento pagine si ha l’impressione di avere una storia potenzialmente bomba tra le mani, anche se il primo non lo si è poi considerato, seppur buono, un capolavoro. 

Il problema in quel caso fu lo stile narrativo. Sarà che è passato del tempo dalla lettura del primo capitolo, sarà che man mano che si leggono libri si modificano un po’ i gusti, ma “La ragazza di fuoco” non mi è dispiaciuta affatto in quanto a ritmo nella prima parte. Certo, non potevo pretendere che Suzanne Collins cambiasse stile per me, ma leggere i primi capitoli dell’opera è stato molto facile e veloce. Il problema (e voi che l’avete letto non prendetemi in giro, sono sicura che è stato così per la maggior parte di voi, N.d.R.) è che ha un certo punto sembra di avere davanti il primo volume. “Come? Si ricomincia da capo?”: è questo il pensiero che viene alle mente quando ci si trova a leggere che Kathniss e Peeta rientrano all’interno dell’Arena per una improbabile edizione “Vip”.

Se si vuole essere sinceri fino in fondo, l’arrabbiatura arriva ed è inevitabile. Ma se si è speso un bel po’ per comprare il libro lo si continua, sia per non sprecare denaro, sia per un’ovvia curiosità di capire come la storia si evolva. Sebbene si provi sempre un po’ di fastidio con il procedere della lettura, perché anche se l’autrice dispensa maggiori note geografiche, storiche e di colore, il fatto che in buona parte sia una ripetizione del primo libro è difficile da superare. Almeno per me che per la Collins non ho una eccessiva passione e che vedo in alcune scelte, da alcuni lettori considerate grandiose, delle perdite di potenzialità.

 

 

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