Ho letto Mar Morto durante una caldissima estate, al mare, che su di me ha sempre un effetto piuttosto particolare.
Era uno dei romanzi allegati al settimanale Famiglia Cristiana e mi colpì forse anche per l’apparente contrasto tra i temi della rivista e quelli trattati da Jorge Amado in quest’opera.
Il romanzo, pubblicato nel 1936, racconta infatti la storia del pescatore Guma e insieme a lui quella dell’intero villaggio di pescatori, delle loro leggende, dei loro riti.
La passione, l’amore, la morte, la necessità si mescolano e trascinano il lettore verso Iemanjá, la dea terribile e implacabile che prende con sé gli uomini di mare.
Come nel caso di Recalcati e dell’anoressia, anche Mar Morto è un libro che continua a tornare nella mia vita per vie traverse e impensabili.
Una qualche magia forse lega davvero noi lettori alla dea Iemanjá, che nel mio caso naviga veloce tra le maglie della rete e ricompare, apparentemente in modo casuale, in un commento, in un suggerimento di una sconosciuta, che sente forte e passionale il suo richiamo, pur non avendo mai letto il libro.
Libro che ha un bonus in più: Amado lo scrisse che aveva solo ventiquattro anni, il che, naturalmente, mi riempie di invidia e ammirazione.
Se l’inverno vi sembra ancora troppo lungo, cari lettori di Libriebit, preparatevi ad un viaggio, direzione Bahia.
La chiamava affettuosamente negra. Lei si preparava sorridendo e se lui le chiedeva perché le piacesse accompagnarlo, non gli diceva mai che temeva per la sua vita. Diceva che era gelosa e temeva che nei porti lui andasse con altre donne. Guma sorrideva, tirava una boccata dalla pipa e diceva “Tu sei matta, negra. Rimango sulla barca a pensare a te”.
Quando non andava, quando rimaneva a casa, sola col vecchio Francisco, ad ascoltare vecchie storie del porto, di naufragi, morti e annegati, la invadeva il terrore. Sapeva che il marito era sul mare, in una fragile imbarcazione, in balia dei venti. Poteva non tornare o tornare cadavere, trasportato in una rete da due uomini robusti.