La bambina che amava Tom Gordon, di Stephen King

Oggi voglio parlarvi di un libro che se possibile mi è piaciuto di meno di quanto abbia mai tollerato “L’incendiaria”. Un romanzo che conferma l’equazione per la quale, anche se si ama particolarmente un determinato autore ciò non significa che si debbano amare visceralmente tutte le sue opere. “La bambina che amava Tom Gordon” è tutto questo per me in relazione a Stephen King.

Sono tante le motivazioni per le quali questo libro non mi è mai andato a genio: prima tra tutte il fatto che la storia, almeno a mio modesto parere, non possiede quel minimo di mordente necessario a tenere bello sveglio il lettore di un romanzo.  Essenzialmente la storia racconta di Trisha, una bambina che va in campeggio con i suoi e si perde nei boschi in seguito ad un allontanamento volontario dipendente dal non voler sentire i suoi famigliari litigare.

Mentre la famiglia da l’allarme alla polizia, la bambina intraprende un viaggio  al fine di ritrovare in qualche modo la civiltà.  Solo che questo percorso non rappresenta per lei solo una prova fisica da affrontare, ma anche psicologica, focalizzata sulla necessità di mantenere la salute mentale prima di ritrovare i suoi o, eventualmente, morire a causa delle privazioni alle quali è costretta ad essere sottoposta.

Durante i giorni della sua scomparsa la bambina si trova a dover fare i conti con tre voci nella sua testa, tre Dei differenti che in un modo o nell’altro mettono alla prova la sua resistenza. Raccontata così la storia appare avvincente per molti versi.  Una volta che ci si trova davanti alla narrazione, a prevalere è in realtà una confusione decisamente ostica da comprendere, come se si tentassero di ascoltare più dispositivi sonori nello stesso momento.

E sebbene lo stile di Stephen King venga espresso nei migliori dei modi in questo libro, è impossibile uscire fuori da  una spirale di noia e caos difficilmente sopportabile.

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