Città di carta di John Green, recensione

Lo ammetto, sono forse una delle poche persone che su John Green hanno delle perplessità a prescindere pur amando molto la sua persona pubblica. Con “Città di carta” ho voluto riprovare e devo dire di non essere rimasta delusa.

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La sensazione a pelle che provo per i suoi scritti rimane la stessa. Per me John Green è come quel piatto particolare di pesce che non ami ma che cucinato bene ti ha soddisfatto. E’ il paragone giusto. Perché anche dopo aver letto “Città di carta” non ho la voglia incredibile di tuffarmi nei suoi romanzi. Ma nemmeno posso dire che non mi sia piaciuto. E’ una sensazione particolare che sicuramente molti altri lettori devono aver provato una volta nella loro vita. Lo stile e la storia che prendono vita nel libro confermano ad ogni modo che Green è uno che sa quel che fa. Cancellate l’idea dalla testa che possa essere come Federico Moccia: siamo su un livello decisamente più alto. Perché le storie avranno per protagonisti adolescenti e giovani, ma la trama non è mai del tutto scontata e soprattutto questo romanzo, devo ammetterlo, ha attirato la mia attenzione su molti livelli.

Margo e Quentin sono due personaggi davvero interessanti con i quali avere a che fare: le loro reazioni, il loro essere. Il libro senza ombra di dubbio ve lo consiglierei ad occhi chiusi. Anche io che ho questa chiusura a pelle ancora, devo ammettere che si tratta di un buon lavoro e quindi di una lettura che vale la pena di fare.

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