Shining, di Stephen King: recensione

Oggi, per ciò che simpaticamente mi verrebbe da soprannominare “Le recensioni del Re”, voglio parlarvi di Shining. Complice una trasposizione cinematografica a mio parere improbabile, seppur spaventosa,  come quella di Stanley Kubrick, questo libro è forse uno dei più conosciuti tra i libri scritti da Stephen King. Si tratta del suo terzo in ordine cronologico e forse il primo definibile davvero dell’orrore.

Perché se c’è una verità insita in questo volume è quella che sia un libro in grado di spaventare. Magari non quell’orrore da far gelare il sangue, tutto sta nella sensibilità del lettore,  ma sicuramente uno di quei tomi che portano le persone una volta finitolo,  ad accendere la luce prima di entrare in una stanza buia.

Il tutto non dipende solo dalla classica forza del male non “esposta” ed a tutta quella serie di indizi che mano mano lo scrittore lascia qui e là a chi è in grado di interpretarli, ma nell’eccessiva familiarità che ci si trova  a provare per ogni singolo personaggio della storia. A partire da Danny, il bimbo con facoltà precognitive, fino a Dick Hallorann, che scopriremo  invischiato anche in una storia, seppur in modo estremamente marginale, ben diversa dello scrittore. Il tutto passando per quello che si rivelerà essere il cattivo della situazione, Jack Torrance, il padre del bimbo.

Quando penso a questo libro mi rendo conto che è impossibile negare quanto di “Richard Bachman” Stephen King abbia inserito in questa storia. E’ come se il suo alter ego avesse affinato la sua penna ed avesse regalato allo scrittore quel pizzico di rischio in più che spesso in quegli anni mancava dalle sue opere.

Si tratta di un libro decisamente scorrevole da leggere, quasi del tutto privo di punti morti che deve assolutamente rappresentare uno dei primi libri da leggere se ci si avvicina per la prima volta a questo scrittore.

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