La storia di Lisey, di Stephen King

La storia di Lisey, può essere considerate, senza paura di essere smentiti, il ritorno ad una prosa decisamente di qualità per Stephen King. Sarà forse un mio limite, ma difficilmente dopo la fine della Saga della Torre Nera sono riuscita a ritrovare nello scrittore americano quella purezza, quella decisione che lo caratterizzava nelle prime opere. E non intendo a livello stilistico, ma a livello di paura, introspezione.

Due concetti molto diversi, c’è da convenirne, ma legati strettamente l’uno all’altro quando si parla di Stephen King. O almeno così li ho sempre vissuti io, approcciandomi alle opere dello scrittore. Questo romanzo narra la storia della vedova di uno scrittore, Lisey per l’appunto, che si trova a dover metabolizzare la morte del marito ed al contempo difendersi da un pazzo psicopatico intenzionato a farle del male per ottenere le opere del compianto autore.

Molto, all’interno della trama è focalizzato sul rapporto della donna con il marito, sia per ciò che riguarda la sua particolarità, e la capacità (non creduta) dello stesso di riuscire a raggiungere i Territori (gli stessi de Il Talismano e La casa del Buio), sia ciò che riguarda il loro essere semplicemente coppia, con il loro lessico, il loro modo di fare.

L’impressione che ho sempre avuto di questo libro è che rappresenti in buona parte una fantasia dello scrittore riguardante la vita della moglie Tabitha dopo la sua morte.  I critici ovviamente pongono il libro nel filone del Re legato agli scrittori. Abbiamo Shining, Mucchi d’ossa, La metà oscura come principali esempi. Io lo collocherei nel filone più nascosto degli introspettivi di King.

La prosa, molto scorrevole, seppure un po’ prolissa in alcune parti si colloca finemente all’interno del contesto della storia. Trovo straordinario,  e qui è l’inventiva dello scrittore che secondo me punta al massimo auspicabile, il momento nel quale Lisey va nei Territori a recuperare la sorella. Vi ho incuriosito? Leggetelo, ne vale la pena.

 

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