La rete di protezione di Andrea Camilleri, recensione

Quando ci si approccia la lettura di un libro di Andrea Camilleri si ha sempre quella sensazione di tornare a casa anche se in Sicilia non ci sia mai stati: con La rete di protezione accade lo stesso, anche se si ha l’impressione che in qualche modo che il commissario Montalbano stia invecchiando inesorabilmente.


E infatti tanta è la malinconia che si prova quando si legge questo romanzo, sebbene la stessa sia alla fine solamente accennata all’interno del testo: il tempo passa per tutti e lo fa anche per il commissario più amato d’Italia che pure appassionandosi tantissimo ai casi che si trova a dover risolvere, inizia a mostrare qualche piccolo segno del passare del tempo.

Vigata, tra l’altro, che già da sola fornisce uno sfondo grottesco per i casi che occorrono al commissariato, questa volta si trasforma in pratica nel set di una fiction italo-svedese ambientata negli anni 50: un fattore che nella risoluzione del giallo avrà una certa influenza. Senza rivelare troppo della trama, si può dire che questa storia basa in realtà il suo mistero proprio nel passato e più di preciso in sei vecchi filmini Super 8 che vengono ritrovati per caso nella soffitta dell’ingegnere Ernesto Sabatello. Un muro bianco viene ripreso per 6 anni consecutivi ogni 27 marzo dal 1958 al 1963 e sempre dalle ore 10:25 del mattino: per quale motivo?

Interessante anche la sottotraccia dedicata al vice commissario Augello ed al figlio che rimangono vittime di un assalto nella classe del piccolo: questo rappresenterà sia un altro caso da risolvere per Montalbano sia un modo per conoscere più da vicino il personaggio di Augello e parlare dei delicati equilibri che bisogna rispettare in alcune situazioni di pericolo.

Ancora una volta Andrea Camilleri con La rete di protezione regala un romanzo interessante e divertente ma al contempo in grado di far riflettere.

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